Non intervisto Papini
Pubblicato in: La Fiera letteraria, anno II, fasc. 20, p. 3
Data: 16 maggio 1926
L'intervista è sempre un imbroglio. O il giornalista ascolta, con aria distratta, quel che gli dice un uomo illustre, e poi spiattella tutto ciò che ha sentito: e l'imbroglio è fatto all'uomo illustre. O quest'ultimo detta, parola per parola, ciò che sarà stampato, in una finta intervista sul giornale; e l'imbrogliato è il pubblico. Oppure l'intervistando, il quale fiuta il pericolo, racconta un monte di panzane; e allora gli imbrogliati sono due, il pubblico e l'intervistatore.
Per queste ragioni, e perchè il mestiere del ficcanaso non m'è mai piaciuto, io non intervisto nessuno.
Ma siccome non tutti la pensano come me, mi càpita qualche volta di essere intervistato di seconda mano, per così dire: ossia mi sento domandare, a volte: «E' vero che lei è amico del Tal di Tale? Che cosa ne pensa?».
Domanda molto imbarazzante. Molti dei miei amici, compagni di scuola, collaboratori, sono oggi pezzi grossi ed anche grossissimi e su ciascuno di loro io la penso... come mi pare: e non so con qual diritto il primo venuto si creda autorizzato a domandarmi le «note informative riservate» su questo o quell'altro. Non che io mi nasconda mai: c'è, per esempio, tra i miei antichi compagni, un pezzo di farabutto al quale l'ho detto dieci o dodici volte che è un pezzo di farabutto; ma non so perchè io debba anche comunicare questo mio favorevole giudizio al primo scioperato che mi vien davanti.
Dunque per finirla, per levarmi di torno una volta per sempre coloro che mi tempestano di domande intorno a Papini, per poter dire a chiunque «leggete il numero... della Fiera Letteraria e non mi annoiate più », rispondo a tutti in una in una volta.
Voglio molto bene a Papini e conto le ore passate con lui fra le più belle della mia vita, ma non l'ho intervistato mai.
Una domanda che mi sento fare spesso è questa: «Che cosa prepara Papini?».
Rispondo: E chi ne sa niente? Quel poco che ne so, l'ho letto sui giornali. lo non gli ho mai chiesto che cosa facesse, nei nostri lunghi colloqui. Infatti, la buona educazione e il buon senso proibiscono di domandare a un banchiere quali azioni intenda comprare, a un medico come stiano i suoi malati, ad un avvocato con quali argomenti sosterrà una causa. Perché dunque la giusta regola deve infrangersi proprio per gli artisti? Forse perché essi non sono vincolati dal segreto professionale? Ma hanno un segreto più delicato e più sacro, quello stesso per cui gli amori si svolgono nel buio, per cui la fecondazione avviene nel mistero, per cui la natura vuole che nel silenzio e nella tenebra dal grembo terrestre si prepari il lento lavorio dei germogli.
Alcuni mesi fa i giornali stamparono che Papini aveva scoperto la prova della divinità di Cristo. Intuii che gli avevano fatto dire quel che egli non aveva neppure pensato, ma non gli domandai niente. Un amico comune gli chiese qualche spiegazione, in presenza mia ed egli spiegò infatti: si tratta non di prove storiche, come era stato inteso grossolanamente (ché Papini non è nè un Cavallazzi nè un De Martino), ma di prove religiose: gli argomenti interessanti sfuggiti — è tutto dire — ai cultori di apologetica durante secoli e secoli.
La domanda grossa, quella che agli amici di Papini viene rivolta più spesso, è la seguente: «La conversione di Papini è sincera?»
Ora dico io. Che cosa pensereste voi se, dopo aver detto che il negoziante X è un vostro intimo amico, che riponete in lui stima, fiducia, affetto, uno vi domandasse di punto in bianco: «E' vero che X è un ladro matricolato?». Sento già la vostra risposta; anzi la vedo; perché voi accostate la mano al petto per spingerla in avanti come chi vuoi dare un sonorissimo schiaffo.
Mi sembra che altrettanto e peggio dovrebbe fare un amico di Papini sentendosi rivolgere la domanda scritta più su. Ma come? Quest'uomo che aveva analizzato il Padre per distruggerlo ed evocato il Figlio per maledirlo, quest'uomo che aveva compatiti i credenti e disprezzati i convertiti e messi in burla i precetti della Chiesa, sei o sette anni fa, dopo meditazioni e dolori dei quali io posso essere testimone attraverso le sue lettere, ritrova Cristo, dedica le proprie forze a glorificarlo e scrive un'appassionata preghiera che tutti dovrebbero leggere per imparare, se non altro, a tacere, e c'è della gente che salta su con un sorriso idiota: «Ma fa sul serio o per ridere? ».
Intendiamoci. Io non nego a nessuno il diritto di non credere alle parole di Papini ma che proprio gli amici di lui si rivolga una domanda in cui è contenuto un insulto, si accenni un dubbio per cui egli sarebbe un buffone, un ipocrita, un ciarlatano è semplicemente inaudito.
Chi non è persuaso è pregato di leggere il Pilota cieco e il Tragico quotidiano nei quali la ricerca di Dio é piena di ansia, l'Uomo finito in cui si vedono i tristi effetti della mancanza di una fede, le Memorie d'Iddio e gli articoli del Lacerba ove pare che l'autore, con un gusto, perverso, cerchi di togliere anche agli altri quella luce che ha sentito spegnere in sé..
Bisogno di trovare, rabbia di non aver trovato, amore, rodimento, dolore: tutto ciò doveva necessariamente sboccare nella fede. Dio non trascura mai le anime di coloro che lo invocano sia pure negandolo, vituperandolo, gridandogli di rivelarsi se c'è.. A ogni delirio succede la pace, ad ogni convulsione, fisica o spirituale, un riposo pieno di dolcezza. Chi ricorda oggi uno scritto Tentazioni di Dio ove Papini, pur nella tenebra in cui viveva, tendeva le braccia verso uno spiraglio di luce?
Poi ci sono i curiosi: coloro che vogliono sapere quello che fa Papini nell'intimità di casa sua, quello che dice, che cosa pensa dell'attuale momento politico, qual giudizio fa di questo o di quell'altro scrittore.
Ecco: se Papini più di una volta ha espresso, con me o con altri, confidenzialmente, giudizi, pareri, opinioni non mi pare che sia da persona ben educata andare a spifferare le sue parole: credo che anche verso gli uomini illustri esistano i doveri della cortesia.
Ma giacché ho preso la penna per la prima ed ultima volta su quest'argomento dico subito che bisogna sfatare una leggenda. Prima era opportuno dimostrare che lo stroncatore feroce, il macellaio della letteratura, il carnefice, l'orco, il babau, era un buon padre di famiglia, un sorridente conversatore, un affettuosissimo amico. Ci pensai io in un articolo che meravigliò parecchi e ci pensò anche lui da sé in quelle saporite righe che intitolò Anch'io son borghese.
Ora, invece, è da distruggere, nella mente d'alcuni, il fantasma di un Papini bigotto, baciapile, pinzochero e potrei continuare per mezza colonna tanti sono i sinonimi che la arguta inventiva popolare ha trovati per significare i segalini beghini, i quali profanano la religione a furia di bacchettonerie.
Papini è sempre lo stesso uomo piacevole, acuto, fabbricatore di epigrammi e lanciatore di bottate e se poi si mette insieme con Giulietti, si salvi chi può!
Ad una signorina che gli domandava: «Lei conosce X? (e qui il nome di un letterato fiorentino)», rispose: «Sì... ossia... X conosce me».
Ad un tale, scrittore e libero docente d'università, il quale aveva tentato il suicidio disse: «Peccato! L'unica cosa buona che aveva cercato di fare non gli è riuscita...».
Ad un poeta che discorreva con lui disse una volta: « Tra noialtri colleghi...». E il poeta: «Colleghi noi? Per Carità! Lei è un leone ed io una zanzara!». Papini allora: «Una zanzara? Che paragone! Rimaniamo, la prego, fra i quadrupedi!...».
Chi pensa che Papini debba esser diventato buio, pessimista, tetro, non intende affatto il valore della fede. Quando un uomo è divenuto certo che le ingiustizie del mondo saranno compensate da una giustizia infallibile, che la luce e la verità saranno un giorno concesse a tutti e che Dio ha amato gli uomini fino a patire e morire per loro deve acquistar gioia dalla vita, non chiudersi nella tristezza. Tutti i grandi umoristi, Thackeray e Dickens, Manzoni e Mark Twain per citar quattro nomi, furono credenti: e il sorriso brillò frequente sul labbro dì due cari italianissimi santi: San Bernardino e San Filippo Neri.
Quali libri legge Papini? Legge di tutto: anzi, dirò meglio; legge tutto: ch'è difficile accennare, nella conversazione con lui, ad una nuova corrente d'idee, a un indirizzo di pensiero importante, senza ch'egli se ne mostri informato. Naturalmente non a tutti i movimenti accorda la propria simpatia: non che l'interessa molto è quello psico-analitico promosso dal Freud.
Nella ricca biblioteca di Papini ci sono opere svariatissime, ma predominano i libri di carattere religioso ch'egli legge assiduamente, perché legge assai più che non scriva e l'austero silenzio in cui s'è chiuso, il rifiutar conferenze in America, collaborazioni ricercatissime, cariche, titoli, onori, dovrebbero esser considerati con un po' di rispetto da coloro che infastidiscon la gente con la domanda eterna: «Che cos'è la conversione di Papini?».
E poi.. poi avrei tante altre cose da dire, forse le più importanti, ma quelle me le tengo per me. Ho già avvertito che io non intervisto nè intervisterò mai Giovanni Papini: ora aggiungo che sono stufo di rispondere, sia pure con giri di parole, a quanti mi domandano di lui e non ne parlerò più nè a voce nè per lettera. Per lettera ne ho già detto abbastanza in questa specie di circolare.
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